martedì 11 settembre 2012

Soffio - Recensione



Soffio di Kim Ki-duk - Genere: drammatico - Corea del Sud, 2007

Una giovane madre in crisi coniugale (il marito la tradisce) si innamora di un detenuto condannato a morte che ha tentato di suicidarsi. Riesce a incontrarlo nel parlatorio sconvolgendo i suoi sentimenti e suscitando reazioni nei suoi compagni di cella uno dei ne quali ne è geloso. Il marito scopre quanto sta accadendo e cerca di recuperare il rapporto.

Di Kim Ki-duk abbiamo già tessuto le lodi più volte in questo blog, per le magistrali prove fornite con Ferro 3 e L'arco. A conferma ulteriore del talento (peraltro indiscusso) del sud-coreano, il Leone d'Oro a Venezia per Pietà. Anche nei miei interventi sulle colonne di Cinemonitor (www.cinemonitor.it) ho avuto più volte occasione di incontrare, anche tangenzialmente, la figura di questo eccelso cineasta orientale, forse troppo sottovalutato in Occidente. L'opera che analizziamo oggi è Soffio, lavoro che si ricollega evidentemente al fascino silenzioso di Ferro 3, senza esserne però pedissequa (e inutile) riproposizione. 

Come negli altri lavori di Kim, anche in questo caso l'impianto narrativo è semplice, asciutto, ben definito e presenta un rigore costruttivo quasi geometrico. Il modello è senza dubbio Ferro 3, ma qui i contorni del conflitto di coppia alto-borghese si smussano, perdono le spigolosità e si sviluppano in una chiave narrativa più patetica che tragica. Mentre ne La casa vuota il marito era fuor di dubbio un essere detestabile, qui il padre di famiglia diventa personaggio, si stacca dalla piattezza del tipo oppositivo che incarnava all'inizio e diventa una figura a tutto tondo, dialettica ed interessante. Anche la moglie (Yeon) ricorda vagamente quella di Ferro 3, ha la stessa tristezza negli occhi, che sono pieni di amarezza e insoddisfazione. L'insistenza del regista sugli occhi ancora una volta ci ricorda che ogni uomo è un piccolo universo, cosa che già sosteneva in un suo famoso aforisma Michel de Montaigne. In aggiunta, anche qui, troviamo un elemento nuovo: il canto. Nei momenti in cui la nostra giovane protagonista si esibisce in (sgraziate) prove canore, si interrompe il flusso narrativo e questa giovane donna orientale ricorda vagamente la tristezza quasi epica della Selma di Dancer in the dark, altro splendido film di Lars von Trier. Rimane un po' in sordina la figura della figlia, ma non ce ne dispiace. Dopotutto questa scelta evita il rischio di scadere nel solito dramma familiare visto e rivisto, dove i figli vengono usati come ago della bilancia di un sistema micro-sociale in decomposizione. 

Anche in questo film, come si è già accennato, predomina il silenzio, soprattutto "veicolato" dal terzo personaggio principale, ovvero il condannato a morte. A causa del suo tentativo di suicido (che apre il film) è impossibilitato a parlare, riesce ad emettere soltanto dei piccoli gemiti o, ancor meglio, dei "soffi". Interessante anche la figura del compagno di cella, silenzioso anche lui, ma dotato di una intensità drammatica veramente eccezionale. Silenziosamente innamorato (?) di Jin Jang, rimane a subire le angherie del compagno di cella, che non apprezza le sue attenzioni. Soltanto verso la fine della pellicola, Jin Jang si concederà a un abbraccio quasi materno, che chiude circolarmente la vicenda dei due "amici" (la prima frase del compagno di cella indicava che "voleva la mamma"). 

Tecnicamente i livelli di realizzazione sono altissimi, soprattutto per quello che riguarda inquadrature, montaggio e fotografia. Le immagini sono, come sempre in Kim, bellissime da vedere ed evidenziano una spiccata propensione al pittoricismo e alla plasticità delle forme. In particolare alcune pose sono talmente ben realizzate da poter benissimo valere come fotografie (pur non volendo mettere in secondo piano l'unitarietà di un prodotto così elegantemente confezionato). 
Per quello che riguarda, più in particolare, la composizione dell'immagine si nota una netta prevalenza per una costruzione a più piani in profondità, interrotti da linee verticali di tensione. Volendo scegliere ancora più nel dettaglio, il ricorrere con così ossessiva frequenza a questa figura ci deve suggerisce che essa deve avere un particolare valore simbolico. In effetti si evidenzia, soprattutto nei dialoghi della prigione, questo elemento compositivo, con lo spettatore che vede "dal di fuori" (magari attraverso una finestra con sbarre) una determinata scena. Come a dire che noi possiamo guardare, ma non possiamo intervenire. Un monito alla passività obbligatoria di uno spettatore che non è chiamato in questo caso ad immedesimarsi empaticamente, ma a contemplare in maniera quasi ascetica la storia. 

Il termine potrà sembrare eccessivo, ma se si tiene in considerazione che tutto il lavoro filmico è sottilmente tramato di un sentimento mortifero a tratti piuttosto evidente, risulterà piuttosto lampante che il soffio a cui si allude nel titolo è quello vitale, che si trasferisce da un soggetto all'altro, veramente come un fluido che è in grado di governare le sorti degli individui. In particolare nelle scene dove Yeon e Jin Jang si baciano il loro soffio aumenta esponenzialmente di intensità, come se in quel momento stesse avvenendo uno scambio dialettico di elementi vivificanti. Il tutto ha il suo naturale coronamento sul finale, con la scena di sesso fra i due. Scena bellissima ed emblematica perché stabilisce e riafferma in un modo molto elegante il tipico topos artistico di "Amore e Morte".

Una morte che è anche rinascita, in una concezione perfettamente ciclica e orientale del tempo e della vita. E non è ovviamente un caso che la pellicola si concluda con una battaglia a palle di neve fra madre, padre e figlia, finalmente riuniti in un perfetto equilibrio (altra figura tipica del cinema di Kim) dopo un cammino di discesa nell'abisso ed espiazione. Espiazione che per Yeon passa attraverso il peggiore dei peccati proposti il tradimento fisico del marito, che segna al medesimo tempo il punto più basso della deriva familiare e l'imminente rinascita. 
Una costruzione che è quindi complessa, fortemente interrogativa e dialettica, che tocca le corde della nostra cultura e a volte ci risulta particolarmente dissonante e incomprensibile, proprio come la vita reale. E proprio come la vita reale questo film condensa in sé i sentimenti, le speranze, le delusioni, le schizofrenie e molto altro ancora dei suoi personaggi.

VOTO: 9/10

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